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La raccolta di Marian Draghici va interpretata come espressa testimonianza di una graduale "metanoia", intervenuta nel tempo, a causa della malattia incurabile e della morte della moglie, che lo ha costretto a chinarsi sui tremendi quesiti esistenziali. E la sua ricerca supera la sfera individuale per collocarsi in una dimensione storica ed esistenziale dove il "male" è l'aggressione sistemica della dittatura oppressiva, sotto la quale visse il poeta come "detestatore" fino alla caduta del regime comunista, insieme alle sofferenze patite per anni da "una giovane moglie sul letto di morte" e, di conseguenza, da lui stesso. Di fronte a questo doppia/tripla prova, che lo avrebbe potuto far precipitare nel baratro della disperazione e del nichilismo, Draghici lentamente/doucement trova la forza per prospettare una visione densa di speranza: il male esiste, ma all'umanità viene chiesto di attivare le sorgenti redentrici, "transfiguranti", della fede.